ARBOURETUM

Let It All In
(Thrill Jockey Records)

7/10 28.05.2020   |   Alberto Albertini
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Esistono gruppi che riescono ad essere enormemente comunicativi con i propri fan sprigionando intense sensazioni senza mai stravolgere drasticamente il loro concetto musicale. Il che non è per niente semplice perché, a lungo termine, si rischia una certa tediosità compositiva.
Gli Arbouretum rientrano sicuramente in questa categoria, dimostrando da ormai quindici anni fedeltà verso il doom folk-rock, loro marchio di fabbrica che, suonato con grande passione, è in grado anche di tendere verso sfumature psichedeliche e british folk fino ad accostarsi al sound Americana.
Il gruppo di Baltimora ha quindi fatto in modo di prendere spunto da differenti varietà musicali per condensarle in un unico stile ormai riconoscibile. Il cuore compositivo della band è delineato dalla forte espressività vocale e chitarristica del leader Dave Heumann: la sua impronta aleggia costantemente su ogni brano di Let It All In. Il suo modo di cantare si accosta a quello di Richard Thompson, richiamando le tonalità del folk-rock inglese anni '70, proprio come si percepisce ascoltando la raffinata e cadenzata A Prism In Reverse. D'altro canto How Deep It Goes e Buffeted By Wind emanano un senso di spensieratezza.
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Anche la corta e strumentale Night Theme regala le medesime sensazioni, qui maggiormente addolcite dal delicato synth di Matthew Pierce.
Mentre No Sanctuary Blues e Headwaters II ci mostrano il lato rock più familiare di Arbouretum, la canzone con caratteristiche leggermente diverse da tutte le altre è High Water Song: il suo ritmo dinamico e gioioso caratterizzato dai fiati di Dave Ballou insieme al piano honky-tonk di Hans Chew esprime un segnale che potrebbe essere interpretato anche come un futuro tentativo di approcciarsi a nuovi generi musicali.
Infine, è senza dubbio Let It All In (il brano che da il titolo al disco) a rappresentare l'essenza del gruppo: i suoi 11 minuti di durata sono un viaggio sonoro ipnotico, dettato prepotentemente da una sezione ritmica (composta da Corey Allender al basso e Brian Carey alla batteria) che accompagna l'assolo infinito di Heumann. La sua chitarra, sfoderando una nota dietro l'altra, crea un legame fortissimo con l'ascoltatore: coadiuvata da una voce profonda e arcaica genera un sound martellante e mai banale, capace di catturare lo spettatore nel suo rotolante groove. Sonorità che, una volta fatte proprie, non potranno far altro che rendere la vita migliore.
Let It All In è l'ennesima dimostrazione che una band può riuscire a trovare un distinguibile e riconoscibile sound senza per forza reinventarsi: la vera originalità sta nel credere davvero nel proprio progetto musicale, trasmettendo sempre autentiche emozioni senza porsi troppe domande sull'apprezzamento altrui del risultato. Ed è esattamente questa franchezza che cercano i veri amanti della musica.

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